Unicredit fuori da Facebook: ascoltare la signora Maria non è obbligatorio

Alessandro Mininno
7 min readMay 6, 2019
Una sede di Unicredit (ha sede fuori da Facebook)

Unicredit ha dichiarato che smetterà di utilizzare Facebook, Messenger e Instagram e l’ha fatto con questo messaggio.

“Valorizzare i canali digitali proprietari per garantire un dialogo riservato e di alta qualità. In linea con questo impegno, UniCredit annuncia che a partire dal 1° giugno non sarà più su Facebook, Messenger e Instagram“

Gli osservatori più attenti fanno notare che Unicredit aveva smesso di investire in pubblicità su queste piattaforme più di un anno fa, a marzo 2018, in occasione dello scandalo di Cambridge Analytica, giustificando l’operazione con motivazioni etiche.

Quello che dice Unicredit: se devi dire cose private, i social non sono il posto migliore

Due parole mi hanno colpito nel messaggio di Unicredit: vogliono spostare il dialogo (forse il customer care?) su canali in cui possa essere riservato e di alta qualità.

Il primo messaggio implicito è che la comunicazione su Facebook e Instagram non sia abbastanza riservata. Prima di tutto lato utente, perchè le persone non hanno sufficiente coscienza del mezzo e pubblicano senza cautela ogni tipo di dati personali.

È un po’ datato, ma l’account NeedADebitCard dimostra proprio questo: colleziona le fotografie di tutti gli utenti entusiasti di avere una nuova carta di credito.

La seconda preoccupazione sui dati è nei confronti delle piattaforme: Facebook sta cercando da anni di intersecare i dati dei propri utenti con i dati finanziari. Condivide i nostri dati (dove andiamo, cosa facciamo, cosa mangiamo) con tutte le banche. O meglio, con tutte le banche che sono disposte a pagare.

Un meme

Una prospettiva resa ancora più preoccupante dal fatto che Facebook si avvicina sempre di più a diventare una banca. Con una mole aggregata di circa 2,7 miliardi di utenti, Facebook si candiderebbe a essere la prima banca centrale mondiale. E ha appena annunciato il roll out di un sistema di pagamento basato su una cryptovaluta proprietaria. Se volessimo fare un confronto Unicredit ha circa 25 milioni di clienti in 18 paesi. LOL.

Quello che dice Unicredit (pt.2): le interazioni sui social sono di bassa qualità

La seconda lamentela pubblicata da Unicredit riguarda le interazioni, che sarebbero di bassa qualità. A mio avviso questa affermazione è direttamente collegata con il pubblico delle piattaforme.

Due immagini irrilevanti a tema “adulti su Facebook”. Quella di destra viene dalla pagina “Persone Furiose” di cui vi caldeggio la consultazione.

Tralasciando Instagram, che per la banca è quasi irrilevante (ciao, 5.658 followers), dovremmo chiederci chi è il pubblico medio con cui Unicredit può parlare su Facebook rispetto a quello che trova su Linkedin e Twitter, canali su cui l’azienda ha deciso di rimanere.

Nel 2019 Facebook è il canale dei pensionati: la distribuzione anagrafica insiste molto sulle fasce più alte di popolazione, secondo gli ultimi report, che vedrebbero il gruppo dei 55+ come popolazione prevalente.

Il tema è questo: vogliamo davvero aprire un canale diretto con i cinquantenni lamentosi, che passano il tempo a borbottare, hanno aspettative elevatissime e utilizzano il canale in modo inappropriato? Penso che quando Unicredit parli di “interazioni di bassa qualità” si riferisca proprio a quello.

Commento dell’Utente Walter Due, sulla pagina di un altro istituto finanziario. Walter Due incarna bene le aspettative della clientela su Facebook.

Effettivamente il pubblico su Twitter e LinkedIn, dove Unicredit terrà i profili aperti, è più maturo verso il digitale e leggermente meno avvezzo a generare delle shitstorm gratuite.

Quello che Unicredit non dice: le grandi aziende possono mollare Facebook senza grossi problemi

L’annuncio di Unicredit è interessante per un paio di altri motivi, di cui la banca non parla direttamente.

La prima domanda è questa: Facebook è indispensabile per le grandi aziende? La risposta, a partire da oggi, è “probabilmente no”.

Facebook oggi rappresenta due cose: da un lato è una piattaforma di advertising e dall’altro un canale di customer care.

Come piattaforma di advertising, utile a costruire il proprio brand e a comunicare i propri servizi, è sicuramente un canale molto efficace: permette alle aziende di raggiungere un pubblico specifico, molto ben segmentato, con uno sforzo che è ridotto, se lo si confronta con gli altri canali ATL. Unicredit d’altra parte aveva già rinunciato a questa piattaforma quando aveva smesso di investire in Facebook advertising.

Al contrario, se un’azienda decide di non allocare alcun budget pubblicitario, il canale è perfettamente inutile.

Ormai lo sanno anche i sassi: possiamo avere una pagina Facebook da mezzo milione di utenti, ma senza pubblicità nessuno vedrà i nostri contenuti. Il grafico qui sopra ci mostra una reach organica, nel 2018, pari all’1,2% (è vero si tratta di dati APAC, non credo che la situazione cambi sostanzialmente in altre aree geografiche). 1,2% significa che i post di Unicredit, su una pagina da 500.000 utenti, probabilmente raggiungono 6.000 persone. Per un’azienda che ha 25 milioni di clienti c’è una sproporzione evidente tra lo sforzo richiesto per comunicare e quello che otteniamo da quel canale: se l’azienda lo chiude, non se ne accorgerà (quasi) nessuno degli utenti.

È la stessa posizione del produttore di cosmetici LUSH, che ha chiuso da poco i canali social della propria filiale britannica dicendo di essere “stanco di lottare con gli algoritmi”. La sede americana fa sapere che i loro social, invece, restano aperti. LOL.

Con un’operazione non molto diversa (forse solo più istintiva) Elon Musk ha rimosso, nel 2018, sia la pagina Facebook di Tesla che quella di Space X, per rispondere a un provocatore su Twitter, al grido di “they looked lame anyway”.

Senza Facebook, dove si lamenterà la signora Maria?

Molte aziende, e tra queste soprattutto banche e telco, utilizzano i canali social per fare customer care. Ma questo racconto funziona meglio al contrario: è l’utente, la signora Maria, che si aspetta di poter scrivere su Facebook alla propria banca. Per lamentarsi. Quando qualcosa non funziona. Quando non ne può più. Ma a volte si lamenta solo per lamentarsi, perchè ha visto il brand della Grande Banca passarle davanti, in advertising.

Perchè lo fa? Perchè alla signora Maria sembra di avere il coltello dalla parte del manico: “ora mi lamenterò in pubblico”, pensa. “Ora la Grande Banca mi darà ascolto”. È così? Solo in teoria.

Spesso la Grande Banca dei commenti se ne infischia. Qui, la domanda è se i social siano un canale di customer care veramente imprescindibile, oppure se le aziende possano ignorarli.

Chi è a favore dell’uso dei social come canale di customer care dirà che, se la banca chiudesse il canale, le persone si lamenterebbero da qualche altra parte online, fuori dal controllo dell’azienda. Per esempio Matteo Flora ne parla qui.

Chi è contro direbbe che i veri problemi di customer care bancario si risolvono fuori da Facebook: se non riesco a fare un bonifico, dovrò per forza passare da canali più riservati e di alta qualità, esattamente come dice Unicredit.

Il tema di fondo è questo: la signora Maria si lamenterà sempre su Facebook, perchè è facile, è comodo e le piace.

Fino a oggi tutte le banche hanno speso (milioni di euro) tempo e risorse per ascoltare e coccolare le signore Maria di tutto il mondo, cercando di essere delle aziende gentili e amichevoli. Per fare questo hanno sicuramente sottratto risorse ad altri campi (per esempio, a fare bene le banche).

L’utente Signora Maria si intrattiene con un Servizio Clienti falso

Ma la banca è costretta ad ascoltare la signora Maria? Oppure potrebbe infischiarsene, come fa Tesla, e impegnarsi semplicemente a fare un prodotto di qualità alta?

Il canale preferito dalla signora Maria oggi funziona male: Facebook ha una reach nulla, è scomodo da usare per fare customer care, è fallato, è costoso e problematico per mille motivi.

Il fatto che Unicredit se ne accorga e prenda una decisione importante in questo senso è solo la punta dell’iceberg: è arrivato il momento, per tutte le aziende, grandi e piccole, di fare un ragionamento laico su tutti questi canali.

Prima di tutto, per tenere quelli che funzionano e smantellare quelli che non funzionano (o che non funzionano più).

E poi, dobbiamo decidere che brand vogliamo essere e che messaggio vogliamo dare: ci sono dei brand per cui è molto importante mantenere un dialogo al bar sport di Facebook, conversare con gli utenti e chiacchierare del più e del meno. Altri brand sono delle casseforti, e come tali devono comunicare: devono parlare poco, e in modo riservato ed efficiente.

Ebbene sì, sono felice se la mia banca sta lontana da Facebook, per lo stesso motivo per cui non voglio che il mio psicologo stia su Facebook. Se la signora Maria avrà un problema serio alzerà il telefono, altrimenti continuerà a lamentarsi da sola su Facebook: nessuno sentirà la sua mancanza.

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