Tutto quello che so sulle community l’ho imparato cucinando il filetto di maiale a bassa temperatura

Alessandro Mininno
7 min readMar 8, 2019
Il ritratto di un filetto di maiale CBT che ho zanzato da internet

Come molti sanno, sono appassionato di cottura sottovuoto a bassa temperatura. Mi piace andare dal macellaio, scegliere un taglio di carne, metterlo sottovuoto e cuocerlo per ore. È un hobby particolare, a cui siamo costretti noi che non abbiamo un giardino e non possiamo cimentarci nella più nobile e più ancestrale arte del barbecue.

Oggi ho pensato di raccontarvi come faccio il filetto di maiale con scorze di agrumi candite. È un piatto abbastanza semplice, ma ci ho messo un po’ per farlo venire bene. Mondo il filetto, lo siringo qua e là con il succo di due arance (naturali, mi raccomando), lo condisco con sale e pepe. Lo condiziono sottovuoto e lo tuffo in un bagno termostatico per un po’.

Questo sono io che vaccino il maiale con della Fanta

Ho capito che due ore e mezza sono sufficienti, se imposto la temperatura a 56 gradi centigradi. Ovviamente, per capire la giusta combinazione di tempi e di temperature ci sono volute un po’ di prove.

Prima di internet sarei stato da solo: un outlier, un cane sciolto, un consumatore che non era interessante servire. Forse, addirittura, mi avrebbero considerato un po’ matto.

Per fortuna internet è il mondo delle nicchie: su Facebook (ma anche su Reddit, per dire) esistono innumerevoli gruppi in cui quelli come me si trovano, si danno suggerimenti e discutono.

Io ho scelto CBT — Cottura sottovuoto a bassa temperatura. Sono in buona compagnia: a oggi, siamo in 35.000 appassionati.

Foto esemplificativa con un paio di roner che scaldano l’acqua

Quindi, l’ultima volta che ho fatto il filetto, con un filo di orgoglio l’ho pubblicato sul gruppo Facebook. Il mio ego si gonfia, quando prendo più di 30 like. Ma non sono l’unico: usando la funzione cerca, sul gruppo trovo una trentina di altri che, come me, hanno provato la ricetta e ne danno la loro versione.

Ovviamente non c’è solo il filetto di maiale: sotto vuoto si può cuocere di tutto. Qualcuno ha anche provato a fare la carbonara — ovviamente scatenando un vespaio.

Se quelli della cottura a bassa temperatura fossero una tribù di selvaggi (più o meno lo sono) la tribù rivale sarebbe quella del barbecue, ovviamente.

Bagnomaria contro fuoco vivo, cottura da salotto contro selvaggia cottura da fare all’aperto, ricercate specialità gourmet contro pezzi di mucca gigante.

E infatti, quando l’utente Renato posta una fiorentina alta sei centimetri, scatena un putiferio di commenti acidi della fazione opposta. Utenti sicuramente barbari, che vengono prontamente BANNATI dal maestro.

Nome grigio = utente bannato

Il capo.

Il domino indiscusso del gruppo.

Lo chef con la C maiuscola, Marco Pirotta, che ha aperto il gruppo e lo governa con la spietatezza di un despota medioevale.

Ogni tanto, qualche fan adorante chiede timidamente se può comprare uno dei tre libri dello Chef. Ovviamente sono volumi introvabili e costosissimi.

Come vedete, il gruppo è pesantemente brandizzato dallo chef.

Lo chef, nella community fa un po’ quello che vuole.

Aggiunge gente. Banna gente. Vende i suoi libri. Meglio, vende i suoi corsi, le masterclass da 700€. Ogni tanto vende un attrezzo usato. Sponsorizza dei contest della sua marca preferita.

Insomma, possiamo dire che in un gruppo Facebook la soglia tra spazio pubblico e spazio privato, tra persona e azienda, sia molto labile e — soprattutto — non dichiarato.

Ora, cos’abbiamo visto?

Abbiamo visto come esista un gruppo di interesse, piuttosto ampio. Con dei comportamenti, degli interessi e dei pattern di comportamento ben definiti.

Nel gruppo, è possibile influenzare l’azione delle persone. Spingerle a fare qualcosa. Addirittura spingerli a comprare, a spendere dei soldi.

Invitarli ad agire come un gruppo, anziché come degli individui.

Qui, quello che dobbiamo chiederci, è cosa unisca le persone di questo gruppo o di qualunque altro gruppo. Gli esperti di digitale direbbero, da Seth Godin in giù, che si tratta di “tribù digitali”.

Cosa sono le tribù digitali? Gruppi di persone che hanno una base comune, uniti dai propri interessi o da uno scopo.

Per esempio, pensate ai fan di Breaking Bad. O del sushi. O ai seguaci di Vasco. Gli hooligan di Burioni. Ma anche semplicemente le mamme. Le mamme che portano i figli piccoli in vacanza. Gli appassionati di canzoni rap. I fan dei fan delle strutture ricorsive.

Questi gruppi condividono alcune caratteristiche: si tengono in piedi da soli, non hanno bisogno di incentivi o di leader, sono leali e spesso durano a lungo.

Che cosa li caratterizza? Tre cose.

Prima di tutto il linguaggio: tutti i gruppi hanno delle note linguistiche o lessicali comuni. Pensate a Neffa, per chi lo conosce, che ha rivoluzionato il rap italiano usando un lessico personalissimo.

Ma anche agli appassionati di barbecue, che parlano di quando un maiale pulla, discutono del miglior rub, temono lo stallo. Fanno il serpente con la carbonella.

Il linguaggio è importante perché circoscrive la community: perché ci sia una community ci deve essere un dentro e un fuori. Chi non capisce è fuori.

Le tribù digitali hanno sempre una cultura comune.

Si parte da una narrazione condivisa: e qui possiamo avvicinarci ai temi più politici.

Pensate ai 35€ degli extracomunitari: non importa che il dato sia vero o falso, stiamo parlando di un meme, di un’idea che si propaga da sola, che è dura a morire, e che accomuna un’intero blocco politico. Possiamo pensare allo stesso modo alla narrazione sulla sostenibilità o sugli OGM.

Poi ci sono dei valori.

Per esempio, sapete chi compra Grana Padano? Potete immaginare chi sono le 400.000 persone che hanno fatto like alla pagina Facebook del brand? Le signore italiane. C’è un valore che sicuramente condividono? Beh, abbastanza facile.

È la famiglia. Se noi comprendiamo i loro valori, capiamo il loro linguaggio, possiamo parlare la loro lingua. E loro reagiranno. Nell’immagine qui sopra: 16.000 like e 1.209 condivisioni per il post sulla festa dei nonni. Auguri, nonni!

Oppure, vale lo stesso con la carbonara: fai quello che vuoi agli italiani, ma non toccargli la carbonara.

Ecco cosa è successo quando Barilla, in Francia, ha sponsorizzato un video in cui si faceva la carbonara buttando tutti gli ingredienti in una pentola con l’acqua. Uno scandalo di proporzioni epiche, tale da arrivare sulla stampa internazionale.

Al punto che Barilla ha dovuto rispondere con un video fatto bene, apposta per recuperare lo scivolone. Non si calpestano i valori della propria community.

E infine ci sono dei rituali che tengono coesa la community.

[questo esempio l’ho rubato a Fabrizio Martire]

Sapete cos’è World of Warcraft? Un gioco MMORPG che, al suo picco, ha avuto 5 milioni di utenti paganti, che sborsavano ogni mese 15$. Vi risparmio lo sforzo, faceva novecento milioni di dollari l’anno, dollaro più dollaro meno. (oggi sono rimasti circa un milione e mezzo di utenti).

Chissà che sistema raffinato di customer service che avevano, penserete.

E invece, quasi nullo: facevano praticamente tutto gli utenti, o meglio la community.

Quando l’utente Capzie viene bannato per “abuso dell’economia del sistema” (questo è divertente, poi lo racconto a chi vuole), chi lo aiuta è l’utente Orlyia.

Che, visto che è un utente bravo, che aiuta gli altri, viene ricompensato con… la possibilità di scrivere in blu. Quando finalmente può scrivere in blu, tutti gli altri si complimentano.

Questo è un punto interessante, perché ci fa capire che i driver che spingono le persone ad agire online non sono economici, ma sono posizionali (faccio questo perché mi voglio sentire parte di una community, voglio una posizione nella società).

Per esempio, i beni posizionali per eccellenza sono i tagliaerba: vuoi il tagliaerba grosso perchè il tuo vicino ha il tagliaerba medio. Allo stesso modo, aiuto una persona a cuocere il maiale su Facebook perchè, nel farlo, posso sfoggiare la mia competenza.

L’ultimo elemento è un elemento di organizzazione.

Per esempio Green Apes, la piattaforma che cerca di incentivare i comportamenti sostenibili, ha deciso che doveva fare questo attraverso un sistema di ricompense e una moneta interna. (La cosa più importante è sempre quali incentivi scegliamo).

Infine, vi faccio vedere un esempio semplice, ma secondo me è il più potente.

Ed è quasi involontario.

La città di Melbourne, per raccogliere segnalazioni sugli alberi, ha messo un’indirizzo email sul tronco di ogni albero. Le persone, automaticamente, hanno iniziato a scrivere lettere d’amore a tutti gli alberi.

Se capiamo cosa vogliono veramente le persone, basterà un’organizzazione minima per ottenere risultati meravigliosi.

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