Non date soldi a quel Salone

Alessandro Mininno
2 min readApr 27, 2021

Da imprenditore mi hanno stupito le ultime notizie sul Salone del Mobile: prima lo spostamento della fiera a settembre poi l’annullamento, ora le ipotesi di un evento ridotto con Triennale e ADI. Addirittura, il governo starebbe pensando a un incentivo economico per le aziende che vorranno partecipare all’evento.

Negli ultimi quattordici mesi il mondo è cambiato in modo profondo e irreversibile: tutto il mondo, tutti i comparti industriali hanno dovuto prenderne atto.

Le spinte dal centro alla periferia e dal fisico al digitale sono evidenti: gli eventi come il Salone hanno visto calare la loro rilevanza e persino la città di Milano ne è uscita indebolita.

Le aziende della moda hanno investito questo anno per sperimentare e innovare: hanno digitalizzato la distribuzione, riorganizzato gli assetti aziendali e spostato online l’attività di vendita, che solitamente avveniva in fiera o in showroom.

Le industry più tecnologiche, come i videogiochi, già da dieci anni concepiscono tutti gli eventi in ottica online-offline: Blizzcon, la convention annuale di Blizzard, uno dei più importanti sviluppatori di videogiochi, prevede da sempre la partecipazione in remoto.

L’impressione è che, invece, il mondo dell’arredo sia rimasto sospeso, soprattutto in Italia. Nonostante l’impatto del Covid sia stato moderato (-6% secondo le stime di Statista) né i produttori né gli eventi hanno investito in modo deciso nella digitalizzazione.

Negli States il 25% dei mobili e complementi d’arredo viene venduto online, in Italia non si arriva al 4%.

L’idea di investire su una fiera che vuole restare completamente offline è un segnale dissonante con i trend internazionali. Ancora di più l’ipotesi di dare sussidi agli espositori, il che significherebbe allocare soldi pubblici per rafforzare un modello che si è dimostrato obsoleto.

Il sistema Paese ha la responsabilità di investire su questo settore, ma sarebbe auspicabile cercare di renderlo completamente digitale e, chissà, a prova di pandemia.

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