Gli Uffizi chiedono il canone agli influencer. Follia o innovazione sensata?

Alessandro Mininno
5 min readMay 6, 2021
Una foto di Martin Parr a Firenze, che ho scavallato online

Questi i fatti: finalmente riaprono i musei, inclusi gli Uffizi di Firenze, tra quelli italiani certamente uno dei più frequentati. All’apertura il direttore Schmidt convoca le guide turistiche e gli comunica che, d’ora in poi, dovranno pagare un canone se vorranno usare le fotografie delle opere sui social.

Ne dà l’annuncio pubblico Sarasflorence, una guida turistica con circa 20k follower, che dal suo profilo Instagram fa divulgazione.

https://www.instagram.com/p/COfZQ7uhA4I/

Questa la norma che viene introdotta (o, meglio, fatta valere), dal sito del museo

«Precisiamo che secondo il decreto legge 83/2014 articolo 12 comma 3, è permesso scattare fotografie alle opere (ad esclusione di quelle esposte nelle mostre temporanee) ai fini di uso personale e di studio, purché senza l’ausilio di cavalletti o luci aggiuntive. Per ulteriori diversi utilizzi (pubblicazioni o usi derivati anche per scopo commerciale) va richiesta apposita autorizzazione e corrisposto, ove previsto, il pagamento di un canone».

Per chi si occupa di queste cose non è una novità: le immagini d’arte, per uso commerciale, si pagano. Anche quando sarebbero in pubblico dominio (lo dice il Testo Unico per i Beni Culturali).

La Venere di Botticelli fa un fotobombing a Chiara Ferragni (che evidentemente può, se vuole, pubblicare foto dell’opera senza pagare, e mostrarla ai suoi 23,4 milioni di follower)

Il problema è proprio l’uso commerciale: una guida turistica che parla di arte sul proprio account Instagram è uso commerciale? Cosa consideriamo un influencer e cosa no? Dove finisce la divulgazione e inizia l’utilizzo commerciale?

Il comportamento degli Uffizi è particolarmente distopico: un’istituzione che è stata tradizionalmente avversa al digitale, al punto da aver chiesto a Wikipedia Italia di rimuovere, per esempio, tutte le immagini della Venere di Botticelli (in quel momento era possibile trovare un’immagine dell’opera su Wikipedia internazionale, ma non su quella italiana: che follia). Di recente, un ribaltamento epocale: Chiara Ferragni si fa i selfie con il direttore e il museo diventa il primo al mondo su Tik Tok (qui sul NYT, con paywall, molto appropriato), due segnali di indubbia comprensione del mondo social.

Uno scatto di Martin Parr al Louvre, che sto usando senza pagare

Questa stretta nei confronti degli influencer è un controsenso: la visibilità sui social non è top down, non è un megafono in cui possiamo parlare senza lasciar intervenire gli altri. Il buon senso vorrebbe che le attività come quelle della guida turistica instagramer vadano incentivate, non stroncate sul nascere.

Expo 2015 aveva deciso di accogliere e incentivare gli influencer: chi si autocandidava e dimostrava di avere un buon seguito e di produrre dei contenuti interessanti riceveva, in alcuni casi, un accredito (lo so perchè era il mio lavoro selezionarli e accoglierli). Questa idea si collocava in un ragionamento più ampio sull’incentivo delle pratiche bottom up: in un mondo post internet, le istituzioni culturali non comunicano nel vuoto ma possono costruire una conversazione con le persone comuni e con gli influencer (se vogliono). Gli Uffizi stanno scegliendo la strada opposta.

D’altra parte il problema è reale: un influencer è un medium, simile a una rivista o alla TV, sia per quantità di pubblico raggiunto che per le finalità che in molti casi sono di lucro (uso la mia visibilità sui social per vendere di più).

L’intervento degli Uffizi è certamente un’offesa al buon senso, alla libera circolazione di opere d’arte che dovrebbero essere in pubblico dominio (ma questo è un altro discorso) e, ultimo, è un autogol per la comunicazione dell’istituzione fiorentina. Nessun instagramer pagherà il canone, qualcuno pubblicherà le foto di nascosto (l’enforcement di una regola di questo tipo è arduo), la visibilità degli Uffizi perderà qualche punto percentuale.

Martin Parr ai Musei Vaticani, una foto che ho babbato da Google

Il museo fiorentino, però, solleva un tema caldo e di difficile risoluzione: a che punto l’attività sui social smette di essere un’attività personale e si tramuta in un’attività commerciale, da cui deriverebbero una serie di responsabilità editoriali e di obblighi, tra cui l’obbligo di pagare le immagini? Il tema è complesso e non si ferma certo all’abuso di immagini d’arte, ma si estende a tutti i temi più importanti: la salute, l’informazione, la politica.

Il secondo tema è il rights management: quali sono i modi giusti di valorizzare, anche dal punto di vista economico, gli asset dei musei, in termini di proprietà intellettuale? È meglio raccattare pochi euro facendo pagare le guide turistiche che usano Instagram o alzare di 50 centesimi il biglietto di ingresso di un’istituzione che attira 4 milioni di visitatori l’anno? Oppure si possono trovare soluzioni alternative per dare valore al lavoro del museo: migliorare la vendita delle immagini presso i settori che possono permettersi di pagarle, (come l’editoria, la pubblicità, il cinema), pensare a format editoriali che trasformino il museo stesso in un medium (esiste qualcosa come Will per la cultura?) o lavorare in modo contemporaneo con il merchandising, solo per ipotizzarne alcune.

gomito a gomito con internet

Il terzo tema parla di apertura contro chiusura: che modello di conoscenza vogliamo costruire e qual è il ruolo dei musei nel 2021, quello di diffondere la cultura o quello di proteggerla dagli utilizzi indesiderati? Certamente i musei sono stati creati per permettere al grande pubblico di conoscere la storia e l’arte, una volta appannaggio solo delle classi più ricche. La soprintendenza però ha anche il delicato ruolo di proteggere le opere, sia da un uso eccessivo che dagli eventuali utilizzi distorti o lesivi del nostro patrimonio culturale (è questo il motivo per cui accostare Chiara Ferragni agli Uffizi ha fatto molto discutere). Sui social l’istituzione perde controllo, per definizione: i visitatori pubblicheranno fotografie sfocate, brutte, storte e con didascalie approssimative e talvolta anche sbagliate. Quello che si perderà in controllo sarà guadagnato in reach: i social e gli influencer sono cruciali per raggiungere un pubblico più ampio, se si vuole farlo e lo si ritiene importante.

una recensione degli Uffizi su Tripadvisor, non collegata al testo

Gli Uffizi non hanno ancora deciso se vogliono costruire un modello chiuso oppure un modello aperto e danno segnali contrastanti.

I trend internazionali parlano di apertura: ogni giorno un nuovo museo apre il suo archivio e il suo database, permettendo l’utilizzo quasi incondizionato della propria collezione da parte del pubblico. Il Testo Unico dei Beni Culturali spinge verso la chiusura, imponendo un pagamento anche per l’utilizzo (commerciale) di opere che dovrebbero essere nel Pubblico Dominio, di fatto annullando il concetto di pubblico dominio.

Se la Gioconda è famosa, disse qualcuno, il merito sarebbe anche delle calamite da frigo: l’arte italiana ha bisogno di essere liberata e diffusa il più possibile, sui social, nei libri e anche sui frigoriferi. Questo perché i brand (e l’Italia è un brand) vanno costruiti e mantenuti in modo aperto, altrimenti muoiono.

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