Digital marketing senza Meta [mini ebook]

Alessandro Mininno
17 min readNov 23, 2022

--

Se anche a te non piace più Facebook clicca qui

(Disclaimer: questo testo è scritto da Alessandro Mininno e Fabrizio Martire, dal punto di vista di Gummy Industries, un’agenzia solo digital che lavora con clienti di dimensione media e grande. È importante saperlo, perché se fossimo un freelance o un gruppo internazionale forse avremmo detto cose diverse)

Facebook e Instagram esistono da circa vent’anni: ogni piano di comunicazione, ogni strategia digitale, ogni campagna di vendita che si rispetti li considera degli elementi portanti.

Eppure queste piattaforme sono sempre peggio: funzionano poco e male, sono costose e sono sull’orlo del collasso.

Possiamo pensare di farne a meno, nel nostro lavoro quotidiano?

Secondo noi sì. Vediamo come e perché.

Perché mollare Facebook e Instagram?

I due social network sono cambiati molto, in modo graduale. Vediamo a che punto siamo arrivati e quali sono i problemi più rilevanti.

  • Reach Zero: il nostro pubblico non è più lì. E se c’è, non lo raggiungiamo
  • Disturbing content: Il contenuto su Facebook è spazzatura. Su Instagram è pubblicità.
  • Account sospesi: le piattaforme sono un colabrodo e l’assistenza non funziona
  • Metaperso: Meta ha altro in testa

Reach Zero. Il nostro pubblico non è più lì. E se c’è, non lo raggiungiamo

Con quasi tre miliardi di utenti l’ecosistema Meta sembra imprescindibile per ogni campagna di marketing che si rispetti. Ma chi c’è tra quei tre miliardi? Ed è possibile raggiungerli?

Facebook ormai è rimasto il regno dei pensionati, dei buongiornissimi e della zia Peppina che ti fa gli auguri di compleanno: l’unica anagrafica in crescita sulla piattaforma è quella degli [over 65](https://thesocialshepherd.com/blog/facebook-statistics#:~:text=The largest Facebook audience in,35 are responsible for 13%25.) mentre Millenial, Gen X e Baby boomer sono in stallo o in diminuzione.

Facebook is shrinking” titolava The Verge, già a febbraio 2022.

È anche utile sapere che gli utenti non sono tutti interessanti per chi fa comunicazione in occidente: per esempio, il 43% degli utenti è residente nelle regioni APAC (questo spiega perché alcuni guru del digitale fanno tanti like dal Pakistan!) .

Gli utenti attivi su Facebook, in Europa, hanno iniziato a diminuire

Gli utenti attivi su Facebook, in Europa, hanno iniziato a diminuire

Anche nel caso in cui volessimo parlare agli utenti rimasti sulle due piattaforme, questo diventa sempre più difficile e costoso.

La reach organica su Facebook, sulle pagine da più di mezzo milione di utenti, è lo 0,5% (significa che su una pagina da mille fan, quando posti qualcosa, ti vedono in cinque). Su Instagram abbiamo misurato una reach organica compresa tra il 4% e il 12%. Questo non è una novità per chi lavora nel settore, ne stiamo parlando da anni. Abbiamo iniziato a segnalare i primi problemi del 2012.

Anche se ci vedono o ci leggono, gli utenti non reagiscono: il miraggio della conversazione tra brand e persone si è rivelato, appunto, un miraggio. I dati (fonte: Rival IQ) ci restituiscono un engagement rate medio dello 0,06%.

La realtà è che molti brand stanno parlando nel vuoto e lo stanno facendo da diversi anni: pubblicano contenuti ma nessuno li vede. Questo vale per tutti quelli che allocano poco budget per la visibilità dei propri contenuti.

Ma non basta.

Fare pubblicità sulle property di Meta sta diventando meno efficace: i setting della privacy di Apple hanno ridotto il ROI delle campagne mobile, su Facebook e Instagram, del 38% con un impatto di 10$ Billion sul bilancio di Meta.

La progressiva scomparsa dei cookie di terze parti rende sempre più difficile tracciare la navigazione degli utenti, la loro profilazione e il loro inseguimento da piattaforma a piattaforma: il 70% degli inserzionisti pensa che questo sia un grosso passo indietro per l’advertising online.

Gli annunci diventano meno efficienti e più costosi. Certo, non costosi quanto la televisione, ma non sono più la terra promessa che ci era stata venduta nel 2004, quando Facebook al grido di “è gratis e lo sarà per sempre” promuoveva una narrazione tutta basata sulle relazioni tra brand e cliente.

Quel mondo è morto: se vuoi le relazioni col cliente le paghi, e a caro prezzo.

il CPM (costo per mille visualizzazioni) misura il costo, crescente, delle campagne di brand awareness su Facebook

Negli ultimi anni Meta sta puntando molto alle piccole e medie imprese italiane che, per inciso, sono proprio il target della nostra agenzia. Come lo fa? Contattando direttamente le aziende e dicendo loro che non hanno bisogno di nessun supporto esterno. In alcuni casi potrebbe anche essere vero: le agenzie sono degli intermediari, spesso portano valore al cliente finale ma a volte no. Come tutti gli intermediari possono essere saltati (l’abbiamo imparato guardando Narcos).

Come dovremmo sentirci quando Meta, un fornitore a cui passiamo centinaia di migliaia di euro di fatturato ogni anno, in modo scientifico e seriale contatta tutti i nostri clienti, gli scrive, gli telefona, cercando di convincerli che non hanno bisogno di noi?

Dire che siamo infastiditi è un eufemismo.

Nella mail qui sopra Paola F., Professionista marketing Meta, scrive direttamente al nostro cliente — anche se Meta sa benissimo che quel business manager è agganciato a quello di un’agenzia

Disturbing content. Il contenuto su Facebook è spazzatura. Su Instagram è pubblicità.

Ogni quarter, Facebook pubblica una classifica dei contenuti più visti sulla piattaforma. Quella del 2022 la trovate qui.

Questa è la classifica dei domini verso cui Facebook manda più traffico

La prima cosa interessante è che, dei contenuti con un link a una piattaforma, il traffico maggiore va verso YouTube e TikTok (ovvero i due concorrenti frontali di Facebook per quanto riguarda i video). Instagram non pervenuto. Insomma, una bella emorragia di traffico: la gente va su Facebook per guardare Tik Tok.

I post più condivisi dentro la piattaforma, invece, sono tutti leggermente violenti (il maggiore è una ragazza prova a rovesciare 38 dollari di birre — 68 milioni di view) o inappropriati (“you honk, we drink” fa 51 milioni di view).

Il tipo di utenza (adulto e un po’ bolso) e l’algoritmo tendono a spingere dei contenuti divisivi e polarizzanti.

Forse la cosa più interessante è che, dei 20 link che hanno ricevuto più traffico esterno (roba tra i 10 e i 30 milioni di click ognuno) ben sei link sono di fake news, incluso il secondo e il quarto link più cliccato. Al punto che Facebook ha dovuto addirittura censurare questi link nel suo report: non è (più) dato sapere cosa siano.

Complessivamente il report è un’auto analisi pre-mortem della piattaforma: il pubblico invecchia, i contenuti peggiorano in modo devastante, l’algoritmo promuove tutto ciò che non vorremmo mai vedere.

Se Facebook ormai sembra Paperissima, Instagram sembra Telemarket. Non so se avete usato le stories di recente: noi abbiamo contato 14 pubblicità e 16 contenuti nel nostro primo minuto di utilizzo. Spesso non si riesce nemmeno a trovare i propri amici, nemmeno cercando a fondo: su Instagram ci sono solo pubblicità e aziende.

Già alcuni mesi fa questo utente di Reddit se n’era lamentato, pubblicando questo post e collezionando dozzine di altri utenti che avevano lo stesso problema.

Ma c’è di peggio: il motore dei suggerimenti ha dei risultati disastrosi, costringendo spesso l’utente a vedere tonnellate di contenuti provocanti. Gli americani li chiamano “thirst traps” e sembra che sia un problema sempre più diffuso.

The next web ha misurato che l’algoritmo di Instagram, effettivamente, prioritizza le immagini di ragazze nude (+50% rispetto alla media di contenuti). È rassicurante pensare che se vediamo una grande abbondanza di nudità non è (solo) perché siamo degli sporcaccioni.

Insider ha intervistato una normale signorina che, vestita solo di un bikini verde, è finita sulla pagina explore ed è diventata influencer in un giorno: la sua foto è stata vista da sei milioni di persone. Instagram ha commentato che “la pagina Explore viene creata da un motore di machine learning e promuove i contenuti più visti nel tuo paese”. Ok.

Instagram sta provando in più modi a cambiare la visualizzazione del feed in modo da renderlo più algoritmico e con più contenuti dei brand (e meno dei content creator). Sicuramente ricorderete la levata di scudi degli influencer di quest’estate.

Che cosa sta succedendo?

È un passaggio dal modello “social network”, in cui i contenuti vengono diffusi in base alle relazioni di chi li produce (faccio vedere i contenuti agli amici dell’influencer) a un modello “recommendation network”, in cui i contenuti vengono diffusi dalla piattaforma a suo piacimento, in base a dei criteri (di solito oscuri). Zuckerberg ha addirittura promesso di raddoppiare la quantità di contenuti che l’utente non ha richiesto.

Due effetti: i creator cercano di interagire con i loro fan su altre piattaforme (tipo Tik Tok, Telegram, OnlyFans) e gli utenti, nel frattempo, si annoiano a morte e passano meno tempo sulla piattaforma.

Insomma, se vogliamo associare i brand dei nostri clienti a un paio di belle poppe oppure a un redneck che inciampa su un rastrello, Facebook e Instagram sono le piattaforme ideali.

Se invece usavamo queste piattaforme per avvicinare i brand ai rapporti umani che avvenivano sui social, beh… non avvengono più.

(non ci dilungheremo qui sugli aspetti etici o politici, cioè sul fatto che Meta stravolge la democrazia e sopprime i movimenti politici che non gli piacciono mentre incita delle rivolte — potreste dire che il Giornale fa lo stesso, e avreste ragione).

Account sospesi. Le piattaforme sono un colabrodo e l’assistenza non funziona

Vi hanno mai bloccato un account?

Se siete (felici) utenti di Business Manager è probabile che, per un motivo o per un altro (o magari senza motivo!), prima o poi vi abbiano sospeso dalla piattaforma.

Saremo trasparenti: a noi è successo almeno tre volte negli ultimi 13 anni.

A volte hanno addirittura bloccato i nostri account personali, solo perché erano collegati a un account, nemmeno gestito da noi, che aveva violato una policy (quelle policy che trasudano bigottismo statunitense per cui gli addominali sono leciti, i capezzoli no).

Ogni volta, il lavoro di agenzia viene paralizzato con le conseguenze che potete benissimo immaginare. Ogni volta, entrare in contatto con un essere umano di Meta è faticoso e, quando ce la facciamo, nessuno risolve i problemi: il customer service di Meta non ha il potere di sbloccare gli account.

Lo diciamo di nuovo, perché non ci possiamo credere: il customer service non ha il potere di riattivare gli account pubblicitari sospesi. Questo potere ce l’ha solo un non-meglio-identificato e certamente irraggiungibile Team Segreto degli Account Sospesi. È come se un fornitore importante, la Società Acqua Potabile, smettesse di darvi acqua a casa, non sapesse perché succede e dicesse che non ha il potere di riaprire i rubinetti. Surreale.

Qui sopra: una risposta ricevuta dopo due mesi e quattro giorni di account bloccato

Pensavamo fosse un problema legato al budget che gestiamo: l’anno scorso il volume di Gummy Industries era nell’ordine dei 400k € / anno, sicuramente piccolo rispetto a quello di un qualunque centro media, ma certamente non trascurabile.

Avere il business manager bloccato significa essere impossibilitati a lavorare e rischiare conseguenze gravi nei confronti dei clienti.

Questo per colpa di un fornitore che non se ne interessa e non risponde.

Una volta ci hanno paralizzato il business manager perché l’account di un cliente è stato violato, nonostante tutti i nostri account avessero i massimi livelli di sicurezza possibili.

È capitato a qualcuno che conoscete? Siamo sicuri di sì. La sicurezza di Meta è un colabrodo e il processo per recuperare un account violato è lungo e atroce (addirittura, non tutti gli utenti sono in grado di vedere la pagina per il recupero password).

Il fatto che la piattaforma sia imprevedibile giustificherebbe, da solo, lo spostamento dei fondi su altri account.

Metaperso. Meta non sta pensando alle piattaforme: ha altro in testa (LOL)

I 15$ Billion che Meta sta investendo sul Metaverso sono una forte scommessa, che per ora non sta dando alcun frutto.

Non possiamo sapere se il Metaverso diventerà mainstream e se lo farà con la tecnologia di Meta. Se dovesse succedere, Meta potrebbe avere la tecnologia e la user base pronte per la prossima innovazione dirompente.

Se non succede, o se succede troppo tardi, o se succede con la tecnologia e i contenuti di un altro player, Meta avrà polverizzato una quantità enorme di risorse e di tempo.

Nel frattempo i dipendenti che si occupavano di ricerca e sviluppo di tutte le altre divisioni di Meta sono stati spazzati via, con un colpo di spugna che ha lasciato a casa più di 10.000 persone a livello global mentre a Milano sta licenziando un dipendente su sei.

In uno scenario come questo, possiamo aspettarci degli investimenti ulteriori nel miglioramento delle due piattaforme che ci interessano? O una risposta più efficace quando abbiamo delle domande? Secondo noi no.

So what?

Potremmo dire: da domani smettiamo interamente di usare Facebook e Instagram, e suggeriamo ai nostri clienti di fare lo stesso.

Purtroppo non è realistico pensarlo.

Anche se la crescita degli utenti è in stallo, ci sono ancora molte persone sulle piattaforme. Anche se la pubblicità è costosa, è ancora più economica di molte alternative.

Dobbiamo però riconoscere che Meta è il cadavere di una balena agonizzante, spiaggiata a riva, in via di putrefazione. Magari impiegherà dieci anni a decomporsi ma la direzione è quella. Nel frattempo, però, dovremo continuare a rosicchiare questo cetaceo putrescente.

Sicuramente però non possiamo più immaginare una strategia di comunicazione basata esclusivamente sulle piattaforme di Meta. È urgente e indispensabile portare i brand dei clienti altrove, su piattaforme più efficaci e più sicure, lasciando su Meta solo le poche briciole che non ha senso spostare.

Quali alternative sono possibili? Digital marketing in un mondo post-Meta

Che obiettivi dobbiamo raggiungere con i social? Obiettivi diversi chiamano piattaforme diverse

Usiamo Facebook e Instagram per quattro motivi (o, se preferite, per quattro fasi del funnel)

  1. fare brand awareness
  2. per informare i clienti sull’uscita di nuovi prodotti
  3. per vendere
  4. per fare customer care.

Siamo convinti che sia possibile spostare tutte queste fasi su altre piattaforme, senza perdere in efficacia.

Per fare brand awareness abbiamo ormai capito che Facebook e Instagram, da soli, non sono sufficienti. In un mondo post-Meta, semplicemente daremo più peso agli altri canali, sia online che offline. A parità di budget possiamo ottenere gli stessi effetti su YouTube o con il display advertising, che ci garantiscono dei volumi di pubblico pari a quelli di Meta, se non maggiore.

Secondo questa indagine di statista ci sono più persone che utilizzano YouTube (in modo attivo) di quante utilizzino Facebook.

In particolare, per comunicare o lanciare un nuovo brand, i social network non sarebbero lo strumento ideale. Se ci chiediamo quali sono i canali da cui i clienti vengono a conoscenza di un nuovo brand, la risposta è inattesa: i motori di ricerca, la pubblicità in TV, i marketplace online, il passaparola e i comparatori sono più importanti (di un bel po’) rispetto ai social.

Significa che, per una campagna di brand awareness, forse gli investimenti sui motori di ricerca, su Amazon e sui comparatori come trovaprezzi saranno ben più efficaci degli investimenti sui social.

Facebook è un canale piuttosto efficace di customer care, anche se non privo di problemi. Diversi brand hanno smesso di usare la piattaforma a questo scopo (qualcuno ricorderà Unicredit, che spostò “la conversazione su piattaforme che consentono un dialogo riservato e di alta qualità”, chiudendo la propria pagina). Anche in questo caso possiamo traslocare l’attività su altre piattaforme, senza eccessivi problemi.

Probabilmente sono le campagne di performance marketing quelle meno sostituibili e che resteranno a lungo sui canali di Meta. Per ora si tratta dei canali che ci permettono di raggiungere meglio una domanda latente da parte dei clienti.

Google, che storicamente intercettava solo la domanda consapevole (persone che già stanno cercando “comprare roditore impagliato”) oggi ha reso disponibili dei formati pubblicitari del tutto simili a quelli di Facebook, basati sull’algoritmo e non sull’attivazione delle keyword e sulla ricerca degli utenti (performance max: ci metti dentro un pubblico di convertiti che l’algoritmo prende come esempio, qualche interesse, 10 titoli qualche descrizione, immagini e almeno un video, sale quanto basta e lui ti cerca conversioni su tutti i posizionamenti Google). Quindi la performance su domanda latente non è più un monopolio di Meta.

Medium is the message: quando la piattaforma comunica un messaggio

Le piattaforme che scegliamo comunicano un messaggio.

Lo sanno bene i brand che cercano di essere sempre i primi a utilizzare una nuova piattaforma o una nuova funzionalità: serve a distinguere il brand e a farlo spiccare nel mare magnum di contenuti identici.

Facebook e Instagram sono il mainstream, la massa, lo strumento che più si avvicina alla televisione.

In base al posizionamento del brand e all’obiettivo della campagna, stiamo osservando aziende che utilizzano piattaforme completamente diverse. Se brand mainstream come Philadelphia o Pasqua Wines riescono a utilizzare TikTok in modo efficace, significa che il contenuto del loro brand è rilevante per il pubblico di quella piattaforma. In questo momento TikTok rappresenta proprio un modello alternativo di produzione e fruizione del contenuto e un modello alternativo di algoritmo.

Linkedin spesso rappresenta la salvezza per i brand B2B e spesso ha dei risultati inimmaginabili su Facebook: abbiamo visto e misurato engagement rate superiori al 100%.

Negli ultimi dieci anni abbiamo condotto campagne sulle piattaforme più disparate e possiamo dire che spesso, molto spesso, danno risultati incredibili e ci permettono di parlare a un target più specifico.

Solo per guardare ai progetti di Gummy, che ci sono più familiari, negli ultimi anni abbiamo portato una cantina su Spotify, un’altra su TikTok, un’azienda di caffè su wechat e praticamente tutti i clienti su Linkedin.

Ecco un po’ di esempi di brand che sono riusciti a fare cose incredibili fuori da Meta (la lista è ovviamente incompleta, ci potrebbero essere infiniti altri casi)

Dobbiamo abituarci a uno scenario frammentato, in cui i canali da presidiare saranno molti ed eterogenei: gran parte delle interazioni si spostano su canali chiusi, difficili da monitorare e presidiare, come BeReal, Telegram, Discord, Geneva.

Il problema è che i canali di cui tenere conto sono tanti ed è difficile capire su quale scommettere.

I download di Twitter, Discord e Mastodon che ho rubato a Francesco Oggiano, qui

I download di Twitter, Discord e Mastodon che ho rubato a Francesco Oggiano, qui

In base a cosa un cliente può spostare la sua community su una nuova piattaforma? Quando possiamo spostare il brand su un nuovo canale? La risposta — che cambia molto da brand a brand — per ora rimane aperta.

Il primo suggerimento è quello di partire dal target: quali altri canali utilizza il pubblico del brand? Il pubblico è disposto a cambiare piattaforma? Per esempio, al crescere dell’età anagrafica del target, potrebbe esserci una maggiore stickyness nei confronti delle piattaforme attuali.

Poi, c’è sicuramente un problema di massa critica: quali sono le piattaforme con un pubblico abbastanza ampio da poter “ospitare” una community in fuga da Facebook? A livello di distribuzione anagrafica del pubblico, probabilmente l’unica risposta al momento è YouTube.

A real content strategy: gli spazi di crescita su YouTube

YouTube merita una menzione a parte, tra i canali alternativi che sono ancora sotto-utilizzati dai brand.

YouTube è un canale veramente potente, con un target di tutte le età. È possibile usarlo efficacemente per rispondere alle domande del pubblico (YT è il secondo motore di ricerca, dopo Google), per fare brand awareness e anche per vendere.

Dal punto di vista anagrafico, il target di YouTube è completamente identico e sovrapponibile a quello di Facebook e Instagram, secondo il sondaggio di Statista.

Brand users sono gli utenti di YouTube, Category users sono gli utenti dei social network. Entrambi i dati sono sull’Italia e sono di agosto 2022 (fonte: Statista).

Ci perdonerete se faremo riferimento a campagne nostre, ma l’approccio di Satispay, che ha presidiato per più di un anno l’intera comunità di creator su YouTube, ha dato dei risultati eccellenti (e misurabili) sia in termini di awareness che di conversione. Produrre video rilevanti per YouTube è sicuramente un lavoro molto differente, rispetto alla meccanica del piano editoriale per Meta a cui siamo abituati, ma può dare dei risultati inaspettati e molto estesi nel tempo.

La “recensione dei soldi” che Satispay ha commissionato a Scottecs nel 2021 continua a fare visualizzazioni, dopo più di un anno dalla sua pubblicazione. Ha quasi 900 commenti, molti dei quali dicono “è la prima pubblicità che ho guardato cinque volte”. Su Instagram non ci è mai successo nulla del genere.

È possibile essere rilevanti su YouTube, anche per brand destinati a un pubblico adulto? Secondo noi sì, vista l’età crescente del pubblico della piattaforma e il suo crescente utilizzo come motore di ricerca.

Per dimostrarlo abbiamo aperto Investiamo, un canale di educazione finanziaria, promosso da Tinaba: in un anno di lavoro abbiamo prodotto e pubblicato più di cinquanta video sui più classici argomenti bancari (cos’è un’obbligazione, cosa fa un risk manager, cosa sono le crypto). L’abbiamo fatto cercando di mutuare il tono e le modalità tipiche della piattaforma e collaborando con dei creator. In un anno abbiamo risposto ai bisogni degli utenti

La cosa interessante è il modo in cui YouTube promuove i contenuti veramente rilevanti per gli utenti (meglio di Facebook): ci spinge verso un modo di lavorare e di comunicare che sia utile.

Ci siamo interrogati per diverso tempo sull’efficacia di YouTube nelle campagne di conversion, e siamo riusciti a dimostrare l’efficacia della piattaforma anche in questa fase del funnel. Se il creator è rilevante per il target, le persone compreranno il prodotto.

È possibile fare totalmente a meno delle piattaforme Meta? Qualche use case

Ci sono aziende che vivono benissimo senza usare i prodotti Meta? È possibile vivere senza Facebook?

Il problema maggiore è gestire l’aspettativa dei clienti: se un brand supera una certa soglia di popolarità le persone si aspetteranno di trovarlo su Facebook e Instagram e di poterlo contattare.

Brand come Lush, come Unicredit, come Tesla dimostrano che è possibile fare a meno di queste piattaforme e spostare i propri sforzi di marketing altrove. Senza perdere un cliente, anzi, guadagnando in popolarità.

I tre racconti sono molto diversi.

Unicredit arriva a spegnere Facebook per motivi etici (lo scandalo Cambridge Analytica) e interrompe totalmente il customer care sulla piattaforma, perché non funzionava. Lush UK chiude Instagram come marketing stunt, per attirare l’attenzione e dimostrare che è possibile farne a meno (tra l’altro l’account è ancora congelato: bravi!). Tesla chiude Facebook perché Elon Musk decide così, a caso: “Delete Facebook, it’s lame”.

Cos’hanno in comune questi esempi? Dimostrano che si può vivere benissimo senza i due social principali e che, magari, il budget dedicato al piano editoriale può essere allocato altrove.

Benvenuti nell’altra Meta del mondo

[se sei arrivato fino a qui, vorremmo sinceramente sapere cosa ne pensi. non è la solita call to action COSA NE PENSATE: è necessario iniziare un dibattito su questo tema che, in molte agenzie, sembra un tabù. se vuoi costruire insieme un modello alternativo, sentiamoci!]

Dobbiamo lasciar perdere per sempre Facebook e Instagram?

Ancora no.

Ma Facebook e Instagram stanno, lentamente ma inesorabilmente, perdendo rilevanza nel nostro contesto culturale. Il nostro lavoro è interpretare questi cambiamenti di paradigma, seguirli e a volte anticiparli, per permettere ai brand di essere al posto giusto, al momento giusto.

È arrivato il momento di esaminare in modo critico la presenza di tutti i nostri clienti su queste piattaforme e iniziare a tracciare altre strade.

Forse non è la via più comoda, ma è quella più giusta. E forse anche quella più divertente.

--

--

Alessandro Mininno
Alessandro Mininno

Written by Alessandro Mininno

Co founder at Flatmates and Gummy Industries

Responses (2)